La relazione tra la SEO e la semantica cognitiva si basa su un concetto: familiarità.
Ne parlavo nel 2016, ero rossa di capelli e senza rughe, ma per creare architetture di contenuti, non si parlava di Search Intent come se ne parla ora e di AI manco l’ombra.
Siamo alle porte del 2023 e, non è cambiato nulla, perché è vero che tutto si evolve velocemente ma noi esseri umani, cerchiamo visceralmente ciò che ci fa sentire al sicuro quando interroghiamo il motore di ricerca.
Chi fa il mio lavoro, già ora, può beneficiare di tool e SaaS che permettono di creare strutture di siti web nella metà del tempo MA se l’input che diamo è errato, non rispetta il cloud di parole che chi deve trovarci ha come suo bagaglio cognitivo, tutto ciò che verrà creato sarà scorretto.
Studiare linguistica semantica significa saper associare correttamente parole e frasi alle persone giuste, significa creare un sito web familiare, in cui far sentire a proprio agio chi lo visita, significa farsi trovare correttamente.
E Google impara costantemente la variabilità della lingua rispetto al contesto culturale di chi cerca affinando gli algoritmi per darci il miglior risultato possibile.
Noi, continuiamo a dare in pasto a Google marea di contenuti a basso impatto familiare, senza pensare davvero a rispondere a chi ci chiede informazioni, a chi vuole comprare, l’importante è “che clicchino”, quando l’importante dovrebbe essere “che non ci lascino mai più e diventino i nostri Brand Ambassador”.
Del resto se di familiare non c’è nulla, perché dovrei affezionarmi?